Mi stanno alle costole, lo so. Lo sento, ma non lascerò si riprendano i miei cani. Percepisco attorno me la gente che mi guarda in maniera strana. In questo coacervo di esseri viventi malati non meno di me, ci sono loro, quelli che vogliono catturarmi, portarmi via e farmi diventare a mia volta un cane, ma avranno filo da torcere.
Tra gli scaffali del supermercato nel quale lavoro, vedo ogni giorno una miriade di facce, migliaia di occhi che mi scrutano e dietro i quali ci sono tonnellate di pensieri nefandi e perversi, tanto quanto i miei, ne sono certo. Le mie nefandezze, però, sono soltanto nei confronti dei cani, ma la gente non capisce che cerco di far loro del bene. È per questo li ho ben nascosti agli occhi di tutti. Loro pensano che un uomo sia malato solo perché tiene un cane legato con una catena. Secondo loro il cane così impazzisce. Mi viene da ridere se ci penso. Il cane è nato per essere legato, fa parte della sua natura, così come lo stare a quattro zampe, l’essere preso a calci e lo sguazzare nei suoi stessi liquami. Metto a posto l’ultimo pacco di cracker. Guardo i miei colleghi uscire, passandomi davanti senza salutare, come sempre.
Tutti tranne Debora.

– Ciao bello!
Lei è una persona speciale, unica. Lei mi vede, ma soprattutto è consapevole che esisto, ma davvero!
Ricambio il saluto con un leggero sorriso e un movimento della testa.
– Che fai... rimani qui stanotte?
Mi sorride, io non rispondo, ma lo fa il mio cuore per me, perdendo un colpo. Con Debora ci passerei la mia vita penosa, che con lei smetterebbe di essere tale, ne sono certo. A lei direi tutto, anche dei cani rinchiusi nella mia cantina, ma probabilmente anche lei non capirebbe. Nessuno lo capisce che è quello il posto giusto per i cani, lontano dal mondo degli esseri umani. Mia madre, prima di andare a far compagnia ai vermi sottoterra, sapeva tutto e nonostante non lo accettasse taceva. Ha sempre taciuto. Mio padre, invece, era come me. Odiava i cani con la mia stessa intensità. È stato lui il mio mentore.
Mando a quel paese il supermercato, i miei colleghi, quel posto pregno di cattiva gente eccetto Debora, ed esco. La mia giornata è finita, adesso devo tornare a casa per dar da mangiare ai miei cani, anche se prima c’è il momento più bello di tutti: aspettare Debora.
Lei lavora con me da poco più di due mesi. Non è una gran lavoratrice, ma si fa voler bene da tutti. Il direttore la tiene molto in considerazione, anche se passa gran parte del tempo al cellulare. Lo fa di nascosto, ma io la vedo, perché i miei occhi la cercano in continuazione. E la trovano sempre.
– Il mio ragazzo... – mi disse un giorno, rossa in volto per l’imbarazzo dopo averla colta in flagrante e avermi mostrato il cellulare – lavora a Milano e ci sentiamo spesso... solo che stiamo per lasciarci, siamo in crisi – poi si era avvicinata fino a farmi sentire il suo profumo e il suo volto si era rattristato di colpo, facendo gioire le mie interiora – ti prego... non dire nulla al direttore... altrimenti mi manda a casa, ok?
Sono sicuro che qualcosa di buono sta per succedere nella mia vita, avevo pensato quel giorno, fiducioso di poter conquistare quella ragazza dolcissima.
E da quel giorno abbiamo quel segreto in comune e un segreto ti lega a una persona a doppio filo.
Me ne sto seduto sul mio Scarabeo sgangherato e aspetto che lei esca. Nonostante abbia lasciato il suo corridoio cinque minuti prima di me, non è ancora uscita. Come sempre sta indugiando nel chiacchierare con le altre ragazze del supermercato. Non ho idea di come ci riesca. La più simpatica di quelle arpie la soffocherei molto volentieri.
Eccola.
Debora ha una chioma fluente, di un nero corvino, sempre raccolta dietro la nuca durante il giorno. E quasi a volermi far star male, nel momento in cui esce fuori, mentre mi si avvicina, li scioglie, lasciandoli ondeggiare fino a giungermi vicino. Le mie narici si riempiono del profumo dei suoi capelli. I suoi occhi, neri anch’essi, sono un colore unico, uniforme, iride e pupilla. Ha una pelle che sembra seta, anche se non ho potuto ancora toccarla. È alta e magra, ma il suo seno è generoso, pieno, sodo. È una dea.
– Perché mi aspetti ogni giorno?
Rispondo con un'alzata di spalle.
Perché ti amo, vorrei dirle, ma non lo faccio. Neanche oggi.
– Senti... – e si guarda le spalle, come chi è in procinto di commettere un reato – anche se... anche se dicono cose strane sul tuo conto qui dentro... io... io non ci credo – e mi fissa.
Dio mio quanto la amo, penso.
– E cosa credi? – le chiedo, con il cuore che sta per frantumarsi.
– Beh... – sorride imbarazzata – credo tu sia soltanto una persona sola. Nient’altro! – mi guarda facendomi sentire un uomo, dopo quarant’anni di inutile esistenza.
Le gambe mi tremano. Se scendo dalla sella della moto sono certo di cadere. Le mani hanno quasi degli spasmi, mentre indosso il casco. Sento gli occhi di Debora che mi fissano e vanno oltre lo scrutare, scavano. Entrano dentro di me e tolgono via pezzi di anima.
– Non dici niente? – mi chiede mentre giro la chiave.
La guardo.
– Devo andare!
Premo il pulsante e il motore gira con il suo rumore di ferodo. Spingo lo sterzo e lascio che le ruote tocchino l’asfalto. In tutto questo gli occhi di lei sono su di me.
– Io e Lorenzo non stiamo più insieme – mi dice, prima che parta.
La guardo. Le sorrido.
Devo andare, penso, i miei cani avranno fame. Non mangiano da ieri. Abbasso lo sguardo e accelero. Le giro quasi attorno, mentre lei rinuncia a guardarmi andare via.
Devo andare dai miei cani, penso, anche se li odio non posso farli morire di fame.