Tratto dal racconto “L'esodo”

Matera, settembre 1950

Rientrare a casa, da quando sua moglie era morta, non aveva più lo stesso sapore. Paolo lo sentiva dentro, in fondo allo stomaco. Vivere assieme a Tonino, il maggiore dei suoi tre figli, e alla sua nuova famiglia, non era una brutta convivenza. Ma non era la stessa cosa. Certo le mura erano le stesse, lì dove aveva vissuto per una vita intera con la donna che aveva sposato, ma era come se con la sua dipartita l’aria che si respirava era cambiata. 

Con la testa avviluppata da quei pensieri, Paolo camminava lungo via Fiorentini. Come spesso faceva, da quando aveva lasciato la bottega di falegname a suo figlio, passava buona parte del pomeriggio alla cantina di panza a credenza. Gli piaceva chiacchierare con i suoi coetanei e sempre meno giocare a carte. Piuttosto preferiva essere spettatore, divertirsi nel sentire i vari giocatori sputarsi addosso veleno per una mano sbagliata, per poi dimenticarsene nel momento in cui si alzavano dalla sedia. La mattina, invece, la passava nel suo piccolo orto. Un esiguo pezzo di terra nei pressi della fabbrica di via Cappelluti. Sin da piccolo aveva aiutato suo padre a lavorare la terra in campagna. Lo aveva fatto fino all’adolescenza, poi aveva lasciato tutto per imparare il mestiere di falegname. Così la campagna era stata quasi completamente messa da parte, anche perché, una volta aperta la sua bottega, il tempo libero era diventato davvero esiguo.
Quando suo padre era morto, i terreni furono divisi tra lui e suo fratello, ma Paolo aveva preferito cedere la sua parte a Giovanni, essendo, quest’ultimo più propenso a seguire le orme paterne. Le conseguenze, purtroppo, erano state disastrose per il loro rapporto.
«Non basta che gli ho fatto un prezzo buono», aveva urlato un giorno appena rientrato a casa, «mi sta prendendo per fesso da anni e non mi paga neppure», aveva detto a sua moglie Rosa, «maledetto a me che mi sono fidato come uno stupido!».
Quello era stato il giorno in cui avevano litigato e non si erano più rivolti la parola.
Erano passati tre anni dalla morte del padre e le terre erano ancora equamente divise, ma Paolo aveva chiesto a Giovanni di lavorare anche le sue. Giovanni aveva accettato, chiedendo in cambio di avere metà di quello che raccoglieva. Paolo aveva acconsentito. Strano però, da quando le terre le lavorava Giovanni non rendevano tanto quanto le faceva rendere suo padre.
«Quest’anno a stento faremo l’olio per noi!» gli aveva detto il primo anno.
«Il grano è magro» aveva detto poco prima della mietitura «speriamo di prendere almeno le spese».
Paolo, senza nutrire mai il minimo sospetto, aveva sempre lasciato correre dandogli la massima fiducia. La litania si era ripetuta per tre anni di seguito, nonostante i terreni erano gli stessi di sempre e tutto attorno, nella zona di Papaglione, rendevano come gli anni addietro a detta di chi aveva interpellato. Ed era stato per quel motivo che aveva deciso di proporre a suo fratello di comprare la sua parte di terreno a buon prezzo.
«Per me va bene…» si era affrettato a dire Giovanni «ma non ti posso pagare subito, un poco alla volta!».
«Non ti preoccupare… quando ce li hai me li dai», lo aveva rassicurato lui. E per l’ennesima volta Paolo era stato in buona fede. E di quei soldi, dopo un anno, non aveva visto una lira!
«Dovevi metterlo per iscritto sull’atto» gli aveva detto sua moglie «ché non lo sapevi quanto è furbo quello lì?» lo aveva ammonito, quasi con stizza.
E così dopo un anno a pregare di dargli il dovuto, Paolo si era presentato a casa di sua e gli aveva urlato in faccia quanto fosse una persona infida. Giovanni, di contro, lo aveva preso a male parole cacciandolo via, quasi fosse lui il ladro. Per un miracolo non erano arrivati alle mani. Paolo era andato via sbattendo la porta e da quel giorno erano diventati estranei. E lui si era ritrovato senza un metro quadro di quel terreno sul quale aveva sgobbato come un mulo assieme a suo padre. Per fortuna la bottega gli aveva permesso di comprare il mezzo tomolo che adesso usava come orto per passare il tempo. I rapporti con Giovanni si erano talmente raffreddati da essere arrivati a un punto di non ritorno. Non un saluto, uno sguardo di reciproco pentimento, un minimo desiderio di ritrovarsi. L’ultima volta lo aveva visto fu il giorno in cui De Gasperi era stato in visita a Matera. Giovanni era tra la gente che, come lui, voleva onorare la presenza del presidente. Paolo gli si era ritrovato dietro di lui, senza che se ne accorgesse.
«De Gasperi è un signore» gli aveva sentito dire rivolto al suo vicino «vedrai che quello qualcosa la farà sicuro per Matera!» aveva detto ancora convinto.
De Gasperi aveva visitato una casa nei Sassi e ne era rimasto scioccato. Per un uomo del suo calibro e della sua posizione, non era plausibile si vivesse ancora in quelle condizioni di arretratezza. E per tale motivo i suoi seguaci, come Giovanni, erano certi che si sarebbe attivato per migliorare le condizioni di vita dei materani nei Sassi.
Paolo in cuor suo era invece piuttosto scettico. Non aveva mai avuto una vera fede politica, con molta probabilità in lui era più radicata una fede anti politica. Per principio era stato contro il fascismo durante gli anni bui di Mussolini. E la sua repulsione era adesso rivolta ai vecchi fascisti che piano piano stavano tornando ad affacciarsi sul panorama politico, sotto un altro nome ma sempre con le stesse facce.
Riguardo a De Gasperi, Paolo pensava che, ammesso che fosse riuscito a concretizzare qualcosa di utile per i suoi Sassi, lui sarebbe già passato a miglior vita.
«Certe cose non si fanno dalla sera alla mattina», aveva pensato mentre si congedava dalla calca nella quale si trovava. E quello era l’ennesimo punto di disaccordo con suo fratello, a quanto pareva.
Con l’ultimo pensiero a Giovanni, Paolo entrò nel vicinato dove viveva. La sua abitazione era stata costruita sopra quella di Graziella e Benedetto e per accedervi doveva passare davanti la loro porta. Graziella era lì davanti, seduta.
Paolo conosceva quella donna buona e taciturna. Era una delle più brave sarte che conoscesse, anche a detta della sua defunta moglie. Peccato avesse abbandonato l’arte da quando era morta sua figlia di tubercolosi. Paolo sentiva ancora i pianti strazianti di quella donna, più giovane di sua nuora, ma che dimostrava il doppio dei suoi anni. Il vestito a lutto che indossava da quel giorno tragico, non rendeva giustizia alla sua bellezza, oscurata dalla tragedia ma solo in parte.
«Buonasera comare Graziella» salutò regalando a quella donna dolce un sorriso.
«Buonasera compare» ricambiò la donna, distogliendo per un attimo il suo sguardo dal vuoto nel quale era perso. Poi Paolo si incamminò in direzione della porta di casa, per quel tratto di strada solcato da decenni. Guardò per un altro secondo Graziella prima di girare l’angolo e sospirò. Graziella era una donna triste. Paolo mosse gli ultimi passi e rientrò a casa, dove l’attendevano sua nuora e il nipotino omonimo.