Scripta Lab

Post di scrittura creativa

 

Post 1
"Il compito che mi spetta e che cerco di assolvere è di riuscire, con il potere della parola scritta,

a farvi udire, a farvi sentire... di riuscire, soprattutto a farvi vedere!”
(Joseph Conrad)

"Il corpo narrativo"

Il grande scrittore Francis Scott Fitzgerald diceva che scriviamo non perché si vuol dire qualcosa, ma perché abbiamo qualcosa da dire! Niente di più vero e quando riusciamo a organizzare questo “qualcosa” in un insieme di parole stiamo dando vita a un corpo narrativo.

I temi della narrativa, da sempre, riguardano tutte le sfaccettature della condizione umana, l'amore, la morte, la religione, la giustizia, il destino, la sofferenza, la felicità. Queste tematiche esistono dalla notte dei tempi e appartengono al patrimonio di tutti, ma quello che differenzia due scritti sullo stesso tema è come viene esposto, soprattutto per un romanziere che, a differenza di un saggista, non si deve limitare a “dire”, ma anche a far “vedere” quello che è il suo pensiero. Dire: “i problemi dell'infanzia si ripercuotono in età adulta” è un enunciato che non fa una piega ed è perfetto per un trattato di psicologia, ma diverso affare è per un'opera letteraria! Qui non si deve descrivere, ma “far sentire”. Non basta quindi fare un enunciato su un argomento, ma bisogna sforzarsi di dare qualcosa in più. Quel qualcosa in più è indispensabile perché quando scriviamo non lo facciamo per un elemento passivo, il lettore non lo è mai! Il lettore, leggendo, vuole arricchirsi, ricercare, imparare. La lettura deve essere partecipazione attiva e chi legge è uno spettatore attivo a tutti gli effetti! 

Per poter capire bene questo aspetto uno scrittore deve essere un avido lettore, per avere bene chiaro in mente come si sta da entrambi i lati della barricata e poter creare al meglio la propria storia. Per cogliere e capire bene la storia scritta da un altro autore è importante porsi due domande: che cosa sta cercando di dirci e soprattutto come sta cercando di farlo, quali sono, in pratica le strategie per riuscire a coinvolgerci nella lettura! E non sentitevi con l'animo di aver rubato qualcosa, ma piuttosto di aver imparato qualcosa da chi ha sbagliato prima di voi!

Gli elementi usati in un testo narrativo per rispondere a queste domande sono due e universali: i personaggi e la trama. Non esistono storie senza questi due elementi, ma ci tornerò più avanti.

Post 2
"Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura ché la diritta via era smarrita” (Dante Alighieri)

Un inizio efficace”

Nell'incipit di un testo narrativo si nasconde un vero e proprio universo che attira il lettore con le parole, esattamente come un fiore attira l'ape con l'universo dei suoi colori.

In passato gran parte delle storie tradizionalmente iniziavano con “C'era una volta...” per poi passare subito all'azione. Oggi non è più così, la tendenza, ormai quasi universalmente condivisa, è quella di iniziare in medias res (in latino “a metà delle cose”) praticamente nel bel mezzo dell'azione, quando tutto è già in movimento, cui far seguire, magari, un flashback che dia qualche informazione in più al lettore. Volendo usare un gioco di parole che racchiuda il senso di quanto detto è bene iniziare da metà, intermezzare con l'inizio e finire senza fine! Ovviamente non è una regola ferrea e imprescindibile, la forza della narrazione sta proprio in questo, poter scegliere tra infiniti modi come usare le parole. L'incipit perfetto, dunque, serve a smuovere le acque dal primo istante. È importante quindi trovare l'attacco perfetto per invogliare il lettore a proseguire nella lettura. Se prendiamo l'incipit per eccellenza, “Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura” viene da sé che il sommo poeta avrebbe potuto iniziare in mille altri modi, ma, non a caso, ha voluto usare una preposizione, “Nel”, che indica proprio “qualcosa già dentro” (all'azione). Anche l'uso del pronome “nostra”, assieme all'io narrante, è perfetto per affiancare noi (lettori) al suo cammino.

Un altro esempio: “Lo aspettava ormai da troppo tempo; non credeva più sarebbe arrivato”.

Usare il pronome maschile “lo” che per definizione sostituisce un nome, induce il lettore a porsi (inconsciamente) la domanda di “chi” aspettava, o anche “cosa” aspettava da troppo tempo. È una scelta audace, ma che raggiunge il fine prefissato, portare il lettore a incuriosirsi, a voler scoprire quello che c'è dietro quel pronome. È chiaro che prima di arrivare al giusto inizio i tentativi saranno tantissimi. Ma questi tentativi non sono tempo perso perché sono un utile esercizio per quando saremo di fronte al cosiddetto blocco del foglio bianco. Quando vi capiterà, perché è nella natura della scrittura creativa che succeda almeno una volta nella vita, se siete fortunati, provate a giocare con la grammatica, a piegarla a vostro piacimento anche con una frase o una parola che non c'entra niente con l'idea che avete in mente, ma vedrete che automaticamente il cervello cercherà la parola per proseguire e poi la successiva e la successiva ancora. Non è detto che in questo modo troverete l'incipit del vostro testo narrativo, ma quantomeno avrete superato il blocco!

Post 3:

Nulla è più evidente del fatto che qualsiasi trama degna di questo nome dev'essere elaborata
fino al suo scioglimento finale, prima ancora di prendere in mano la penna” (Edgar Allan Poe)

Il filo conduttore”

La trama di un testo narrativo è come il filo della trama di un tessuto, lo attraversa per tutta la sua lunghezza. Una trama, però, per poter “sopportare” il peso della storia deve essere solida e ben strutturata e come dice Edgar Allan Poe deve essere ben chiara ancor prima di iniziare. Se nella vita cerchiamo quotidianamente di schivare i problemi, in narrativa è esattamente l'opposto, “creare problemi” ai personaggi della nostra storia rende la trama interessante. Non esiste trama, di qualsiasi genere letterario, che non viva attorno a un conflitto, che non dev'essere necessariamente una guerra, un duello o cose simili, ma anche una lotta interiore.

Potete creare personaggi straordinari, ma se non li mettete di fronte a un conflitto la vostra storia rimarrà sempre sterile. Il compito dell'autore è quello di pungolare il personaggio in un crescendo continuo di tensione narrativa fino al punto più alto della storia, il climax, il momento della verità che corrisponde al punto in cui il vostro personaggio deve essere inevitabilmente cambiato. Subito dopo il climax la tensione deve andare scemando fino alla conclusione finale. Questo è il filo conduttore di un intreccio narrativo. Questa è la struttura della quasi totalità della letteratura mondiale. Troppo riduttivo? Niente affatto! Se ci pensate tutte le storie narrate, da Omero a oggi, hanno questo tipo di struttura, può cambiare il tema, ma la struttura è sempre questa.

La vostra originalità non deve puntare a inventare trame inedite, ma a ordine nuovi tessuti sul vecchio telaio!

È importante anche capire che un personaggio letterario quanto più bramerà di raggiungere il suo obiettivo tanto più la tensione narrativa crescerà. È indiscutibile che gli ostacoli più efficaci nella “vita” di un personaggio sono decisamente quelli interiori, insicurezza, dubbio, paura, disperazione e farà di tutto per contrapporvi forze positive per andare avanti e arrivare, nel bene o nel male, da qualche parte. Un modo efficace per cominciare a dare forma alla vostra trama (sempre prima di iniziare a scrivere) è quello di porsi cinque domande, molto usate nella retorica di un discorso e che corrispondono alle cinque domande della scuola anglosassone di giornalismo, sono le cinque “W”:

  • Who (Chi): chi è il protagonista della nostra storia;

  • What (Cosa): cosa succede, l'evento portante della trama;

  • Where (Dove): il luogo, l'ambientazione della nostra storia;

  • When (Quando): il tempo in cui si svolge la nostra storia;

  • Why (Perché): il perché vogliano scrivere la nostra storia.

Ognuna di queste domande deve avere una risposta esaustiva, ma è indiscutibile che l'ultima, “il perché” noi scriviamo, deve essere la principale ragion d'essere della nostra opera. I più grandi capolavori della letteratura, che rimarranno immortali per sempre, sono incentrati su un perché profondo e importante che rispecchia inevitabilmente un perché profondo e importante dell'autore.

Post 4:

Le storie fondamentali di ogni tempo sono due: Cenerentola e Pollicino:
il fascino delle donne e il coraggio degli uomini” (Francis Scott Fitzgerald)

Dall'idea alla trama”

Una delle regole fondamentali da rispettare per dare vita a una buona storia è quella della coerenza. Tutto quello che inseriamo nella nostra opera deve essere utile all'opera stessa, tutto quello che non serve deve essere messo da parte, magari per il vostro prossimo romanzo! E questa regola è valida per ogni genere letterario, altrimenti si rischia di creare una gran confusione nel lettore che alla prima occasiona metterà da parte la lettura del vostro testo. Resta inteso che è possibile fare delle digressioni, che hanno anche lo scopo di alleggerire la tensione e far “rifiatare” il lettore, persino Shakespeare era solito farle all'interno delle sue tragedie, l'importante è non dilungarsi inutilmente. Ogni storia si basa fondamentalmente sull'azione, che non è necessariamente intesa solo sul piano fisico, ma anche intellettuale, di fatto un folle inseguimento e una serie di deduzioni alla Sherlock Holmes sono “azione”. Ne consegue che spezzando il ritmo dell'azione, magari dilungandosi su descrizioni particolareggiate, si rischia di inficiare la bellezza della scena che stiamo creando. Tutto sta nella essenzialità. Facendo quindi tesoro di questi suggerimenti è importante tagliare tutti quei passaggi dove non succede niente di utile alla trama. Se il nostro protagonista esce di casa per andare in ufficio e durante il tragitto non accade nulla di funzionale, tutto il tragitto non ha senso descriverlo.

A questo punto è bene delineare un altro aspetto importante della narrativa: la credibilità. E quando si parla di credibilità non si parla di realismo, anche un romanzo di fantascienza deve essere credibile, nonostante non sia realistico. La credibilità significa, ad esempio, che non potete scrivere del vostro protagonista ridotto in fin di vita e il giorno dopo già se ne va in giro a sterminare nemici! Uno degli errori più comuni, in fatto di credibilità, è legato, ad esempio, al nome del protagonista, si inizia la storia che ha un determinato nome e alla fine ce lo ritroviamo con un altro! Può sembrare paradossale, ma capita molto più spesso di quanto si creda. Un altro errore è quando scriviamo, ad esempio, di uno scalatore che regge il suo compagno a mani nude, senza l'ausilio di chiodi e moschettoni, questo è sinonimo di pigrizia da parte dello scrittore che non si è informato abbastanza su come si scala una montagna.

Chiuso l'argomento credibilità, torniamo a parlare di trama.

Tra le varie regole per creare una trama stabile c'è quella di anticipare gli eventi, non descrivendoli nel dettaglio, ma lasciando piccole tracce di qualcosa che avverrà. Questa regola si chiama forshadowing, la parola più consona per tradurla è prefigurazione. E come nella radice della parola inglese, shadow, ombra, anche lo scrittore deve creare un'ombra su qualcosa che accadrà! Quindi l'autore deve essere abile nel disseminare questi piccoli indizi lungo il corso della narrazione, indizi che alla fine della storia il lettore potrà riassaporare a pieno, nei minimi dettagli. E se il forshadowing rafforza direttamente la struttura della trama, la digressione, anche se temporaneamente se ne allontana, la rafforza indirettamente perché crea nel lettore il desiderio di ritornare al più presto a immergersi nuovamente nella lettura. Entrambi questi elementi, prefigurazione e digressione, vanno, però, usati con parsimonia, perché altrimenti il primo potrebbe rivelare troppo, il secondo potrebbe distrarre troppo.

C'è anche un terzo elemento che ha un ruolo di supporto importante, l'uso di una trama secondaria che implica uno spostamento da quella principale, trama secondaria che, ovviamente, deve avere una sua utilità. E anche in questo caso bisogna essere intelligenti nel saper cogliere il momento giusto per la transizione da una trama all'altra.

Post 5:

Non si può creare un personaggio basandosi sulla semplice osservazione:
se vogliamo che prenda vita dev'essere almeno in qualche misura una rappresentazione di noi stessi” (William Somerset Maugham)

Creare un personaggio che interpreti la storia”

Una storia la si può definire tale se c'è qualcuno che la “vive” e per qualcuno si intende, ovviamente, è un personaggio. Un personaggio, però, non necessariamente dev'essere umano, ma può tranquillamente trattarsi di un animale, di un alieno o persino di un oggetto, è invece importante un altro fattore: la riconoscibilità.

Il lettore deve trovare nel personaggio quel senso di intimo riconoscimento, di identificazione che gli stimoli una corda nel profondo, facendolo entrare in sintonia con il personaggio stesso. E una delle cose fondamentali per renderlo credibile è quello che dev'essere perfettamente parte integrante del suo tempo. Lancillotto non può che appartenere al Medioevo perché ne esprime a pieno gli ideali cavallereschi di quel tempo, come Don Chisciotte non può che appartenere al quel periodo storico in cui quegli stessi ideali erano praticamente ribaltati. E lo stesso dicasi di Fantozzi, con le sue frustrazioni, le sue meschinerie, è rappresentativo del suo tempo, dove la vacanza era vista come una fuga dalla schiavitù del lavoro, dove si era disposti a tutto pur di entrare nelle grazie del capo per un aumento di stipendio o per non perdere quel lavoro, nonostante sia infamante e odiato. Quindi è importante che nel momento in cui un personaggio viene creato si abbia bene chiaro in mente il contesto in cui vivrà, altrimenti la sensazione di anacronismo striderà troppo e renderà la lettura poco piacevole. Fermo restando la contestualizzazione del personaggio con il suo tempo, è importante anche che il personaggio abbia dei tratti distintivi, altrimenti si appiattisce troppo e si corre il rischio che  si somiglino tutti, vanificando magari la bellezza di una trama avvincente. Un piccolo espediente per ovviare a questo errore molto comune, soprattutto agli inizi, è quello di identificare il personaggio con un solo aggettivo qualificativo: buono, brontolone, simpatico, ficcanaso ecc. Partendo da questo primo elemento cominciate a costruirvi attorno tutto il resto della struttura, vi accorgerete che con il “passare delle pagine” i personaggi diventeranno sempre più “vivi” e alla fine avranno assunto una forma a tutto tondo e potranno sopportare senza difficoltà il peso della storia.

Questa tecnica di “assegnare” una, massimo due qualità ai personaggi ne ha fatto buon uso Walt Disney, il quale doveva creare personaggi adatti ai bambini, quindi relativamente semplici. Ecco che così nasce Gastone, fortunato, Paperino, simpatico, ma sfortunato, Zio Paperone ricco e avaro e via via tutti gli altri. Resta inteso che questo lavoro di caratterizzazione assume due consistenze diverse a seconda che si parli di personaggi principali o secondari. Per i personaggi secondari basta una sola semplice caratterizzazione, non serve entrare nella profondità della personalità, a volte già il lavoro che svolgono basta a caratterizzarli. Diversa storia è per i principali, dove la personalità che bisogna dare loro deve essere complessa e quindi è bene puntare su una, massimo due peculiarità e approfondirle e soprattutto mantenerle coerenti fino alla fine della storia.

In passato la tendenza era quella di creare degli stereotipi e il personaggio finiva per identificarsi a tal punto con la sua peculiarità da diventarne l'incarnazione. Abbiamo citato Don Chisciotte, ma anche Sherlock Holmes e lo stesso Fantozzi (non a caso è stato introdotto nel dizionario la parola fantozziano). Oggi, però, le cose sono un po' cambiate, è facile scorgere nel cattivo di turno delle “venature” di bontà e viceversa, delle tracce di cattiverie nel buono della storia, questo perché la letteratura non vuole far altro che essere una cartina tornasole della realtà, dove nessuno è totalmente buono o totalmente cattivo, nella realtà non possiamo catalogare le persone come semplici stereotipi, perché è indiscutibile, ormai, quanto sia complesso il genere umano. Ecco perché prima di provare a diventare bravi scrittori dobbiamo essere bravi osservatori della realtà che ci circonda, per poter “pescare” quelle caratteristiche che useremo per rendere unici i nostri personaggi.

Post 6:

Un personaggio nasce da una situazione, una frase o un'immagine in cui vi è una potenzialità umana
che lo scrittore è certo di scoprire per la prima volta”  (
Milan Kundera)

Il conflitto interno”

Nella lezione precedente abbiamo visto che la trama è vissuta dai personaggi con le loro azioni. Questo concetto non vale solo per le storie d'azione o di avventura, dove il conflitto del nostro personaggio è chiaro e facilmente identificabile, ma anche nelle storie dove i personaggi vivono dei tormenti interiori che rappresentano l'ostacolo principale nel compiere le loro azioni. Resta inteso che non deve esserci obbligatoriamente in tutti i personaggi un conflitto interiore da superare, ma è innegabile che resta uno dei fattori di drammatizzazione più potenti della narrativa moderna. Un filo di tensione interiore rende decisamente più apprezzabile la caratterizzazione dei personaggi, solo quando avremo esplorato fino in fondo le motivazioni, le azioni e le reazioni dei nostri protagonisti, questi saranno in grado di “camminare da soli” all'interno della nostra storia.

Ed è a questo punto che dovremo pensare a come presentare i nostri personaggi. Per farlo esistono due modi, quello indiretto, tramite l'intervento dell'autore, e quello diretto, dove il personaggio si presenta con le sue azioni, le sue reazioni, il suo modo di esprimersi. In buona sostanza la differenza tra questi due metodi è quello che c'è tra il dire e il mostrare, argomentazioni che abbiamo affrontato alla prima lezione. Il metodo indiretto è decisamente più comodo nel senso che l'autore con pochi aggettivi riesce a descrivere un personaggio, senza dilungarsi in pagine di descrizione dettagliata, ma ha un grosso inconveniente, quello di dare al lettore l'impressione di essere portato per mano all'interno della storia, privandolo del suo spazio creativo di ricerca e di giudizio sulle qualità del soggetto. Questo metodo, oggi, è molto meno usato perché nella narrativa moderna si è creato un tipo di rapporto diverso, rispetto al passato, tra autore e lettore, quest'ultimo “vuole il suo spazio creativo”.

Con il metodo indiretto il personaggio si presenta al lettore attraverso le sue azioni e quindi l'unico metro di giudizio che si avrà sarà il suo comportamento. Potremmo definire questo metodo di presentazione di tipo “esistenzialista”, dove cerchiamo di mostrare prima l'esistenza e poi l'essenza del personaggio. È ovvio che, cosa mostrare e in che modo farlo, è sempre e soltanto una scelta dell'autore, ma posso garantirvi che molto spesso sono gli stessi personaggi, nel corso della stesura, a “dare suggerimenti” su come presentarsi al lettore. Non è detto che non si possano usare entrambi i metodi, prendete, per esempio, le narrazioni dove il pensiero viene espresso non tra le virgolette, ma con parole dell'autore. Possiamo definirlo un metodo semidiretto, dove è chiaro che quel determinato pensiero non appartiene al personaggio che vive la storia, ma è un pensiero mediato dall'autore.

Una volta deciso con quale metodo presentare i nostri personaggi è importante che ogni azione, motivazione, fine che si prefiggono siano coerenti con i tratti salienti della loro personalità, aspetto, quest'ultimo, fatto di tantissime contraddizioni che, se pur complesse da affrontare, sono decisamente affascinanti.

In questo lavoro di presentazione del personaggio è importante non confondere l'autore con il protagonista, se non altro perché il proprio “io” non può mai funzionare in una storia dove il personaggio è molto elaborato interiormente. Ne deriva, quindi, che la conoscenza della natura umana è indispensabile per dare credibilità al personaggio. É indiscutibile che ogni autore si rifà sempre a una parte della propria personalità o delle proprie esperienze, ma un autore non deve replicare, ma creare. Volendo usare un aforisma per spiegare questo aspetto potremmo dire che: la narrativa è una ramificazione della realtà filtrata dalla immaginazione. Quindi è inutile cercare di “scopiazzare” personaggi di altri autori, è molto meglio guardare dentro noi stessi e trasformare i nostri conflitti interiori, i nostri struggimenti in “vissuto” dei protagonisti delle nostre storie, questo li renderebbe molto funzionali e soprattutto, come già detto, credibili. Inoltre, se riusciamo a trasformare in forma drammatica i nostri conflitti interiori può essere un metodo efficacie per far uscire fuori i mostri del nostro inconscio, cosa non da poco!

Questo lavoro sui personaggi, fate bene attenzione, non implica che vada fatto con persone in carne e ossa! Quando abbiamo iniziato questa lezione abbiamo detto che il protagonista della nostra storia non deve necessariamente essere umano, ma può anche essere un oggetto, un animale o un alieno. La regola non cambia, anche loro devono avere una loro personalità.

Questa è la tecnica della “personificazione”, una tendenza innata nell'uomo di voler raffigurare il mondo a sua immagine e somiglianza. Sin dall'antichità lo ha fatto, trasferendo i propri vizi e le proprie virtù in “esseri divini”, il dio Sole, le divinità dell'amore, della giustizia e via di seguito. Se ci fate caso, però, questa tendenza alla personificazione è anche parte del nostro linguaggio comune. Espressioni come: la macchina “non vuole” partire, il vento “urla”, il tempo “corre”, le usiamo quotidianamente. E non vale solo per i verbi, ma anche per alcuni aspetti dell'anatomia umana, espressioni come “il collo” della bottiglia, “la gamba” del tavolo, sono fortemente rappresentativi della nostra tendenza naturale di personificare quello che ci circonda. Questo, come autori, ci permette di avere una gamma pressoché infinita di possibilità per dare vita alle nostre storie, basta mettere un po' da parte la razionalità e liberare la fantasia e far si che la creatività si sprigioni.