“Un piccolo spiraglio di luce da un angolo rotto”
di
Francesco Sciannarella
(pag.2 di 3)
Un'ora era trascorsa troppo in fretta. L'attesa dell'ordinazione non era mai stata più leggera. E sembrava che avessimo ancora molto da dirci.
Azzurra è una ragazza simpatica e intelligente, come suo fratello, ma lei non ha paura del mondo, delle persone, della vita.
«Pio ti ha detto che prima...» Azzurra si blocca un secondo «sì... insomma... prima dell'incidente era un atleta? E anche piuttosto bravo!»
Rimango basito, accennando un leggero movimento indietro «ehm... davvero? No, non me ne ha mai parlato!»
«Mh mh» la vedo sorridere e il suo volto si illumina di una gioia ritrovata nel marasma dei ricordi passati «praticava atletica e il suo allenatore diceva sempre che aveva un “buon piede”» la vedo disegnare le virgolette in aria e poi sorseggiare un po' di birra.
«Che gran peccato...» dico, guardando i suoi occhi che si sono fatti lucidi, anche se sono sicuro non sia il tipo che cede facilmente al pianto.
Lei continua guardando alcuni ragazzi seduti al tavolo accanto «il suo allenatore ci aveva detto che se perseverava, la stagione successiva avrebbe provato ad iscriverlo a una gara, poi...»
«… poi è arrivato l'incidente e tutto è cambiato!»
«Già... tutto è cambiato» mi guarda un secondo con un sorriso triste.
Cala un lieve silenzio tra noi, sembra che il clangore della musica e del vociare degli altri avventori del pub si sia zittito all'improvviso.
«A cosa pensi?» mi chiede, diventando meno triste.
«Non so se può essere una buona idea... ma...» cerco di trasmetterle un po' di tranquillità «conosco un atleta paraplegico, ha ottenuto grandi risultati a livello nazionale e si sta allenando per le para olimpiadi, se vuoi posso provare a chiedere a Pio se...»
«Sì... sì... sarebbe fantastico se riuscissi a convincerlo...» fa una smorfia adorabile «anche solo per farlo uscire di casa e staccarsi dal suo dannato computer.»
«Se tu pensi che possa essergli utile... ci provo!»
«Se per te non è un problema...»
«Ok, ci proverò» sospiro e guardo il mio piatto, poi parlo con slancio «posso farti una domanda?
Lei amplia il sorriso e mostra il palmo per fermarmi «vuoi sapere perché ho lasciato casa dei miei, vero?»
Dico sì con la testa.
Questa volta è lei a sospirare «ti sembrerà strano, ma...» mi guarda con convinzione «subito dopo l'incidente anche mia madre è cambiata.»
«Non dev'essere stato facile per lei.»
«Assolutamente no... ed è una cosa che non auguro a nessuno ma... per lei sono diventata... invisibile!» il suo tono di voce diventa rigido all'improvviso «da quel giorno, nella sua vita, c'è stato solo e soltanto Pio!»
«Tua madre è solo preoccupata per tuo fratello... è consapevole che per lui sarà tutto più complicato... tu...»
«Io sono quella “sana”» e la vedo disegnare nuovamente le virgolette tra noi, ma questa volta con stizza «e quindi posso andare avanti senza nessuno, senza neanche una parola di conforto... in quel periodo mi sarebbe bastato anche un... come stai Azzurra?» nuovamente i suoi occhi si gonfiano di lacrime, ma ancora una volta non piange.
Provo il desiderio di abbracciarla, ma non è nel mio stile «anche per te dev'essere stato complicato» dico, infine.
«Certo!» e con un movimento della mano, simula il gesto di voler cacciare via quella tristezza «ma ormai è andata!»
«Puoi sempre recuperare!»
Azzurra mi guarda «tu credi? É chiaro che non conosci mia madre! Il suo orgoglio la rende impermeabile a tutto... a volte non so come abbia fatto mio padre a conquistarla!»
«Le avrà scritto una lettera d'amore!»
Sorridiamo, anche se lei lo fa con maggiore sforzo di me «probabile, ma non lo saprò mai!»
«Chiedi a Pio di indagare e scrivi una lettera anche tu!» la vedo perplessa per un secondo «dove ci butti dentro tutta la tua amarezza, la tua rabbia...»
«Non ci penso neanche!» mi interrompe bruscamente.
«Era solo un'idea, scusami!»
«Non c'è problema... va bene così!»
«Ok» e mi tocco la cicatrice, duole quando rido troppo.
Azzurra nota il gesto «credo che Pio abbia ragione» mi dice «ti rimarrà una cicatrice.»
Abbassa gli occhi al piatto di patatine che ha davanti, ne prende una e la mangia.
«Pazienza... mi servirà da lezione!»
I suoi occhi sono su di me. Quando vuole ha un modo tutto suo di fissarmi! É spiazzante e non mi dispiace affatto, anzi...
Sono passati dieci giorni dal pestaggio. Di quei due cretini neanche più l'ombra, come anche di Marilù, per fortuna. I dolori, invece, sono rimasti, se pur lievi. Le costole, se riempio troppo i polmoni, fanno un po' male, miracolosamente non ci sono state lesioni.
“Una costola fratturata può compromettere un polmone” mi aveva spiegato Azzurra, mentre mi rimuoveva la fasciatura e toccava delicatamente in più punti “e alla tua età il rischio è ancora maggiore!”
E un sorriso le si era affacciato sulle labbra, senza tuttavia distrarsi dai suoi gesti “sei simpatica come tuo fratello!” l'avevo schernita.
“Oh... no, lui è impareggiabile!” e avevo sentito una fitta che mi aveva fatto stringere i denti.
Dopo avermi soccorso, fratello e sorella erano tornati a farmi visita quotidianamente, per fortuna. Il giorno dopo la rottura del bicchier d'acqua, mi ero alzato e avevo camminato fino alla cucina, appoggiandomi ovunque. Ero debole, ma un principio di appetito era riaffiorato. Quando mi ero seduto a tavola e avevo iniziato a mangiare il riso freddo di Azzurra, mi era sembrata l'ottava meraviglia dell'universo culinario. L'avevo quasi finito e subito avevo ingurgitato con uno sforzo tre bicchieri d'acqua. E mi ero sentito subito molto meglio. Il pomeriggio era arrivato Pio, aveva aperto con la copia della chiave ancora in suo possesso e si era affacciato sulla porta.
“Felix... sei solo?” aveva chiesto, con tono sarcastico.
Ero arrivato nel soggiorno, con andatura claudicante, e di sottecchi gli avevo risposto “e con chi vuoi che sia?”
“Ah... non lo so, sei sempre pieno di sorprese!” ed era entrato, chiudendosi la porta alle spalle “anche se, conciato così, rischieresti di fare solo magre figure! Vedo che stai meglio... il tuo colorito è passato dal paonazzo al giallastro!”
“Vai a cagare, Pio!” gli avevo detto, stringendo i denti, mentre cercavo di trovare una posizione comoda sul divano.
Poco dopo era arrivata anche Azzurra a monitorare la situazione, sotto gli occhi vigili di suo fratello.
“Ti trovo molto meglio” era stata la prima cosa che mi aveva detto “ma niente sforzi, devi riposare!”
“Ok” le avevo sorriso, fissandola, ma senza trovare mai i suoi occhi.
“Torno domani mattina, va bene?” e per un secondo i nostri sguardi si erano incrociati.
Dopo una settimana stavo abbastanza bene ed ero tornato a lavorare. Ad Ivan non avevo detto la verità riguardo al labbro rotto.
“La tua ragazza ti ha colpito con la borsa?” mi aveva chiesto, ridendo.
“No, voleva fare cose strane e mi ha morso!”
Ivan era rimasto un secondo basito, poi mi aveva mandato a quel paese, e l'argomento si era chiuso lì. Ai clienti abituali che mi chiedevano cosa fosse successo, rispondevo che mi aveva picchiato Ivan, tutti ridevano e la cosa scemava in poco tempo.
«Pio mi ha detto quello che è successo... o meglio... perché è successo» Azzurra mi guarda e poi infila un'altra floscia patatina tra i denti.
«Beh... immaginavo te ne avrebbe parlato, prima o poi» questa volta sono io a cercare le parole nell'aria «e cos'hai pensato?»
«All'inizio ho pensato che non dovevo accettare il tuo invito a bere una birra insieme...»
Con una smorfia di sorpresa sul volto e lo stomaco accartocciato, dico «volevo solo ringraziarti per l'aiuto che mi hai dato, tutto qui!»
Lei, senza scomporsi «se volevi davvero ringraziarmi potevi farlo invitando anche Pio, a cena... a casa tua! É risaputo quanto sei bravo in cucina!»
Inizio a pentirmi di essere qui adesso, ma per una volta forzo la mia natura e vado avanti.
«Felice... credo tu abbia l'odiosa abitudine di dare per scontato che quando inviti una ragazza a bere qualcosa... poi tu debba portartela a letto... e questo non me l'ha detto Pio!»
«Non so se crederci, ma va bene!» sospiro e abbasso lo sguardo. Fisso il mio piatto. Giocherello con una patatina e le salse, mescolandole come un pittore con i suoi colori.
Mi sento abbastanza alle corde.
«Sei libero di non crederci, ma sono capace di capire le persone da come si comportano con gli altri... in questo caso... le altre!»
«Vedo che tra i tuoi pregi c'è anche la “modestia”» questa volta sono io a prendere in prestito le virgolette con annesso un sorriso di stizza.
«Beh... scusami se sono così diretta» continua Azzurra e finalmente la guardo «ma devi ammettere che ho ragione!»
Muovo appena la testa in un assenso che non avrei mai voluto dare, ma per la prima volta cedo «sì, hai ragione...» lascio la patatina, poggio la schiena alla sedia di legno di quel pub per adolescenti e mi arrendo ad Azzurra. Sta scavando dentro di me senza alcuna pietà.
«Però... nonostante questo, ho accettato l'invito».
«Si, anche se adesso tutto assume una luce diversa... per me!»
«Esatto, per te!» prende una patatina, l'ennesima, e raccoglie un po' di quel mix di salse dal mio piatto, che avevo fatto per gioco «per me il concetto “solo una birra e basta” era chiaro da subito, ma mi sembrava giusto fartelo capire!»
«E l'hai fatto benissimo!» le dico, con una punta di fastidio.
Azzurra prende il suo boccale di birra, sorseggia e mi guarda attraverso il vetro. Mi sento disorientato.
«Mi dispiace aver ferito il tuo orgoglio, ma credo tu non sia così stupido da pensare che puoi fare sempre centro la prima sera» fa una leggera pausa «va bene... ho capito» aggiunge e con uno scatto si alza «forse non sarei dovuta venire» mi guarda dall'alto, questa volta è completamente seria «ho stroncato le tue aspettative di poter scopare con me già stasera e adesso ti senti ferito come un bambino al quale hanno tolto un giocattolo... sei patetico!»
«Se lo dici tu!»
«Ascolta Felice...» lei si avvicina e si piega leggermente verso di me «non siamo ragazzini, quindi è inutile arrancare in una serata dove nessuno dei due avrà quello che vuole...»
«In verità io ho capito solo quello che tu non vuoi!»
«Quando vuoi sai esser più stronzo del solito! Io volevo solo fare due chiacchiere e conoscerci meglio... ma tu avevi già pianificato tutto, non è così?»
Non rispondo, chiuso in un mutismo carico di umiliazione. Situazione nuova per me e che non sopporto.
«Certo...» prosegue senza freni «tu non sei tenuto a rispondere quando vieni messo davanti alla realtà dei fatti» si avvicina, fino a farmi sentire il suo profumo «tu preferisci scappare piuttosto che affrontare le cose serie, non è così?»
Sto controllando la rabbia con uno sforzo innaturale. Serro la mandibola e ancora una volta me ne sto zitto.
Vaffanculo, Azzurra!
«Il tuo silenzio è più eloquente di qualunque risposta ti frulli per la testa... e posso immaginare quale sia...» scuote la testa, poi fa una cosa che è di gran lunga peggiore delle parole che ha detto, tira fuori l'inverosimile dalla sua borsa e per ultimo un portafogli da cui pesca dei soldi e li lascia sul tavolo, sbattendoli con forza «questa è la mia parte del conto... ognuno paga per sé... come due amici, come avrei voluto che fossimo, almeno per stasera, ma probabilmente con te non è possibile!»
E senza dire altro lascia il locale. Mi copro gli occhi con una mano per non seguirla con lo sguardo. In poco più di un'ora, Azzurra è riuscita a lasciarmi allo scoperto come nessuno in questi anni. Ho provato la stessa sensazione di quando, da ragazzino, per svegliarti perché in ritardo a scuola, ti privavano senza troppe scuse di quella sensazione di essere al sicuro sotto le coperte.
Quando torno a guardare sul tavolo, mi accorgo che Azzurra ha dimenticato di rimettere in borsa la sua bottiglia d'acqua. È in alluminio, è azzurra. Continuo a fissare quel contenitore luccicante. Lo prendo, è piacevolmente fresco al tatto. Lo scuoto, l'acqua rumoreggia al suo interno. Ce n'è metà. Sorrido.
Dovrò trovare il modo di restituirgliela di persona, penso.
In realtà potrei darla a Pio e risolvere il problema, ma non è quello che voglio, mi piacerebbe rivederla... ma non subito. Ho bisogno di metabolizzare la serata. È stato un duro colpo per il mio ego ipertrofico, ma forse è giusto così. Sono contento che a mettermi davanti a questo aspetto del mio carattere di merda sia stata lei. Di gran lunga meglio di una delle tante occasionali passate nella mia esistenza, belle, ma senz'anima. Con Azzurra ho pensato di poter fare lo stesso, ma ho fatto male i conti. Lei è un gran bel contenitore pieno e le ho mancato di rispetto.
Scusami Azzurra...
Mi guardo riflesso e deforme nel metallo della sua borraccia.
Somiglio a Quasimodo!
Quando torna la cameriera per chiedermi se desidero altro, la guardo e le sorrido. Ordino un'altra pinta di birra e vari snack che stuzzicano la sete.
Dopo quella ne bevo altre tre.
Ora mi sento brillo. Vado a pagare, cercando di camminare diritto. Al bancone mi rendo conto di essere l'ultimo cliente.
«Scusami... non mi sono reso conto dell'orario» dico alla ragazza, con la lingua impastata e la voce da zombie.
«Tranquillo... ne abbiamo ancora per un po'» e incassa i soldi.
Le sorrido, saluto e vado via. Quando arrivo davanti la porta mi rendo conto che sta piovendo.
«Porca miseria!» non mi ero accorto di niente, all'interno la musica dei video clip in loop manda in off il resto del mondo.
Non amo la pioggia e rimango nell'atrio del pub, dietro la grande porta a vetri, sperando che spiova, ma nutro poca fiducia. Fisso le gocce cadere e rimbalzare sul selciato liscio. Sembrano tutte uguali. Si infrangono in tante parti più piccole e poi diventano parte di quel fiume di acqua che cerca una via di fuga.
Quest'attesa e questi pensieri eterei forse mi aiutano a smaltire i fumi dell'alcool, ma pochi minuti dopo, o forse ore, non lo so davvero, la ragazza del bancone appare e mi comunica che devono chiudere, quindi devo andarmene e avviarmi contro la mia volontà, sotto la pioggia.
«Sei a piedi?» mi chiede, solare.
«No, ma ho parcheggiato in culo al mondo!» mi rendo conto di quello che ho detto «ehm.. scusami...»
«Non preoccuparti» mi sorride, affabile. Mi guarda languida e fa spallucce «beh... se non hai altro da fare e vuoi aspettarmi... laggiù, sotto l'arco... posso darti un passaggio.»
«No... no... ti ringrazio, ma credo mi avvierò» guardo il cielo, per non guardare lei «non dovrei bagnarmi molto!»
«Mmmmh... ok... come vuoi... a me farebbe piacere!»
La saluto con un movimento della testa e mi avvio, le gocce mi picchiettano addosso, e la sensazione non è gradevole.
Quando arrivo all'auto sono fradicio, ma stranamente scarico. L'ebbrezza si è dimezzata, riesco a pensare, sono persino riuscito a guidare senza ammazzarmi e a trovare la toppa della serratura di casa senza grossi problemi.
Mi spoglio, indosso solo una maglietta, ma non ho voglia di dormire. Siedo sul divano e accendo la TV, c'è un film d'azione, ma la mia testa continua a pensare ad Azzurra e alla sua borraccia che mi guarda dal tavolo dove l'ho poggiata.
Infine mi addormento e di nuovo quel sogno maledetto, ma questa volta qualcosa è cambiato: dal bordo del pozzo scorgo una mano tesa che mi vuole aiutare. Annaspo e spingo verso quelle dita per cercare di prenderle. E nello sforzo di arrivare lassù l'acqua non mi avvolge completamente, rischiando di farmi annegare.
Quando mi sveglio, nel cuore della notte, non mi sento senza respiro. Spengo la TV e vado a letto. E sogno Azzurra, il suo pendente a forma di balena e poi finisco di nuovo nel mio dannato pozzo, ma ho meno paura. Quello che mi sembra un mostro pauroso, risalire dalla profondità, sfiorandomi i piedi, ora non è più così terrificante.
«Hai pensato a quello che ti ho detto riguardo al mio amico?» chiedo a Pio, mentre siamo seduti a tavola, intenti a cenare, prima della partita della nazionale di calcio.
«Sì... un giorno di questi ci vado a parlare» mi risponde, senza alzare la testa dal piatto.
Ho preparato degli involtini di petto di pollo, ripieni di prosciutto e scamorza freschi, avvolti in zucchine gratinate. Come contorno crostini di pane con mozzarella, pomodoro e origano.
Una settimana fa ho raccontato a Pio del mio amico, l'atleta para olimpico, accennando anche alle parole di Azzurra sul suo passato di sportivo.
“Ah... allora te l'ha detto!”
“Si e mi chiedo perché tu non me ne abbia mai parlato!”
“Perché non credevo fosse importante!”
“Credevo fossimo amici!”
“Ma lo siamo, solo che non mi sembrava così rilevante!”
“E invece lo era!” avevo incalzato.
“Ok, d'accordo, scusami, è che...” e aveva sbuffato “è che non mi piace parlarne, tutto qui! Con nessuno... e mia sorella doveva farsi i fatti suoi!”
“Tua sorella me ne ha parlato solo perché è dispiaciuta!”
“Beh... non doveva comunque!”
“Invece dovresti pensare di tornare a fare sport!”
E aveva riso di gusto “sì, certo come no, con queste?” e aveva indicato le sue gambe.
Taglio un pezzo del mio “involtino al gratin”, come l'ho battezzato, e torno a fissare Pio, sempre a capo chino.
«Tutto bene?» chiedo, leggermente preoccupato.
Pio si ferma, poggia la forchetta e mi guarda. È una delle poche volte in cui è serio.
«Non proprio!»
Poso anch'io la mia forchetta sul bordo del piatto, metto i gomiti sul tavolo e lo guardo, intuendo.
«Ho capito, hai parlato con Azzurra!»
«Esatto!»
Continuo a fissarlo «e allora?» incalzo.
«E allora?» mi ringhia contro «l'hai trattata come una delle tante ragazze che hai avuto...»
«Te lo ha detto lei?» chiedo sporgendomi verso di lui e reggendo lo sguardo.
«Mi ha detto che era quello che speravi!»
«Ah... certo! Quello che speravo... giusto!» muovo il capo e aspetto che il mio amico si lasci andare e tiri fuori tutto quello che sta trattenendo.
«Perché non è forse così? Vuoi dire il contrario?»
«E anche se fosse? Tu cosa c'entri in tutto questo?» gli punto l'indice contro, minaccioso «tua sorella è adulta e vaccinata per decidere da sola!»
«Infatti ha fatto la scelta giusta, ti ha mandato a cagare prima che diventasse una delle tante “usa e getta” della tua vita!»
«Pio, smettila di fare il saputello su tutto, questa cosa inizia a darmi sui nervi!»
«Cos'è... sei nervoso perché con Azzurra ti è andata male?»
«Pio, hai finito di farmi la paternale?»
«Forse avresti avuto bisogno di un po' di ramanzine paterne! Avresti imparato a trattare meglio le donne della tua vita.»
«Pio, vaffanculo!»
«Invece di mandarmi a quel paese dovresti iniziare a prendere sul serio i sentimenti degli altri, a tirar fuori le palle per affrontare l'amore, quello vero, a cambiare lavoro, andartene da quel cesso di posto che ti rende infelice e fare qualcosa che ti piace! Ecco... l'ho detto!»
Scatto in piedi, inizio a sparecchiare, poi apro l'acqua per lavare le stoviglie e cerco di calmarmi.
Di nuovo allo scoperto!
«Pio... tu sei l'ultima persona che può dirmi queste cose» mi giro a lui «tu che non metti il naso fuori di casa da quando sei finito su quella sedia a rotelle, tu che vivi nascosto dietro un monitor, tu che non hai il coraggio di andare a parlare con Antonio e rimetterti in discussione!»
«Certo, forse hai ragione... ma io non gioco con i sentimenti delle persone...» muove indietro la sedia a rotelle «perché se non l'hai capito tu a mia sorella piaci, ma sei talmente preso da te stesso da non vedere al di là del tuo naso!» Pio lascia le chiavi sul tavolo e gira verso la porta «grazie per la cena, ma credo di non avere più voglia di entrare in questa casa.»
«Va bene... vai, Pio, vai!» gli dico, furioso.
«Sai Felix... al tuo posto non mi preoccuperei di affogare nel tuo sogno ricorrente» ride con una cattiveria che mi era sconosciuta «perché sei uno stronzo... e gli stronzi galleggiano benissimo.»
Quando la porta si chiude con un tonfo, colpisco il tavolo con un pugno e un dolore si irradia lungo tutto il braccio.
«Vaffanculo!» e in quel momento mi accorgo che il lavabo è pieno e ha iniziato a traboccare «cazzo!» chiudo con un colpo secco il rubinetto. E inizio ad asciugare l'acqua.
Da quasi due settimane Pio non viene a pranzo a casa mia. Azzurra sembra essere scomparsa dalla faccia della terra. E paradossalmente tutte le ragazze che hanno frequentato il bar in quest'ultimo frangente, sono brutte o peggio, felicemente accompagnate.
Forse è meglio così...
Lo ripeto a me stesso perché in verità non ho molta voglia di impelagarmi in storie che potrebbero avere le stesse conseguenze di quella di Marilù. Statisticamente è davvero bassa la probabilità che tutte le ragazze “mordi e fuggi” abbiano un fratello coglione e un po' fuori di testa, ma a prescindere da tutto, credo mi possa far bene un periodo di astinenza.
“Feli'... ti vedo un po' giù di corda!” mi aveva detto qualche giorno fa l'unico cliente intelligente del bar. É un signore vicino alla sessantina, pensionato da alcuni anni, ma perfettamente in forma. É un podista che ha iniziato per necessità, dovendo combattere il mal di schiena. Negli anni è diventato quasi un fanatico della corsa, ma quando ha del tempo libero non disdegna un birra e una chiacchierata con chiunque gli capiti a tiro. Ho l'impressione che Uccio conosca davvero tutti, ma tutti tutti qui a Matera.
“Si... è un periodo un po' così!” gli avevo risposto, mentre lavavo le tazze, prima di metterle nel cestello della lavastoviglie.
“E allora è roba di femmine...” e aveva sorriso, asciugandosi i baffoni inumiditi dalla schiuma della birra.
“Tu dici?”
“Dico, dico” Uccio aveva sorseggiato ancora e proseguito “posso essere tuo padre e certe cose le capisco... e poi ti ho sempre visto con belle uaggnedde, ma da un po' di tempo sei sempre solo!” e aveva fatto spallucce.
Non avevo replicato, se non con una alzata di sopracciglia. E mi ero sentito come con Azzurra, al pub, come l'unico uomo in costume in una spiaggia di nudisti, ma con Uccio avevo cercato di non darlo a vedere, ma piuttosto di trarne un vantaggio. L'uomo che avevo di fronte aveva vissuto il doppio di me, era sposato, aveva lavorato in Germania e con due figli quasi miei coetanei.
“E che devo fare, Uccio, pazienza!” lo avevo pungolato, quando mi ero raddrizzato, dopo aver avviato la lavastoviglie.
“Come pazienza? Tu sei giovane e ti arrendi così?”
“Ma non c'è stata nessuna guerra... quindi non c'è nessuna resa!”
“Eeeeh... certe volte la gioventù è sprecata in mano a voi giovani! Se avevo io gli anni tuoi e mica stavo mezzo morto come stai tu!”
“E che avresti fatto al posto mio?” gli avevo chiesto, poggiandomi al retrobanco e incrociando le braccia.
“Come minimo avrei cercato di capire se la ragazza che mi fa stare così” e mi aveva indicato da capo a piedi “è la ragazza giusta per me!”
“E come fai a saperlo?”
Uccio era esploso in una risata potente e imbarazzante, per fortuna c'eravamo solo io e lui, Ivan era uscito per delle commissioni “si vede proprio che le femmine le conosci solo a letto, uagliò...”
E avevo riso anch'io per quella espressione tipica degli uomini della sua età, ma che aveva smosso qualcosa in me.
Nella mia vita un padre che mi parlasse così non c'era mai stato, il mio se n'era andato troppo presto e probabilmente per la sua indole non lo avrebbe fatto comunque. Mia madre non si era mai avvicinata a me per discussioni sulla sfera sessuale, era troppo pudica per natura. Tutto quello che sapevo lo avevo appreso grazie ai miei amici di scuola e poi anche da alcune ragazze che spesso, dietro una facciata di compostezza, nascondevano una conoscenza approfondita dell'argomento da lasciarmi senza parole.
Nei miei anni lontano da casa, a Brighton, non c'erano mai state storie serie, forse perché temevo di creare un legame a doppio filo con quella città a cui sentivo di non appartenere, sempre fiducioso di poter tornare a casa mia.
E quindi le parole di Uccio non potevano far altro che erudirmi su qualcosa di cui sapevo poco e niente, purtroppo per me.
“Feli'... le donne, quelle giuste, quelle vere, quelle che ti porti appresso fino a che campi, le riconosci perché quando le vedi non le vedi con questi” e aveva indicato i suoi occhi verdi “ma con questo!” e aveva indicato il suo cuore “lascia perdere che poi con il tempo, quando ti sposi e ci vivi insieme trent'anni, diventano pesanti...” aveva sorriso, facendo ballare i suoi baffoni, simili a quelli del tipo sulla bottiglia di birra “ma pure noi uomini non è che siamo dei santi!”
Con una smorfia avevo recepito, anche questo senza mai averlo mai potuto appurare per esperienza diretta e lui aveva proseguito “però, se una femmina ti fa stare così moscio... può essere quella giusta!”
“Hai detto bene... PUÒ essere!”
“Sì... ma almeno devi provarci per sapere se lo è... se te ne stai qui come un trimone, con una faccia da funerale... non lo saprai mai!”
Uccio mi aveva lasciato a rimuginare per giorni. Quello che mi aveva detto era decisamente interessante, ma non ero il tipo da correre dietro a una ragazza per capire se il mio cuore batteva più velocemente in sua presenza.
E così, oggi, a due settimane dalla mia lite con Pio e una dalla lectio magistralis di Uccio, me ne sto ancora qui a contemplare il nulla in questo bar di miserabili come me, che ci vengono per ovviare alla loro routine quotidiana.
Spesso mi sono soffermato a studiare questo posto strano e ho capito che la stranezza non è nelle mura, nel bancone, nei trespoli dove le persone siedono, ma in chi lo frequenta, me compreso. E in questo caleidoscopio di essere umani sui generis, languisco anch'io, ma senza riuscire a venirne fuori. Esattamente come nel mio sogno ricorrente che è tornato a essere inquietante e tenebroso come in passato, anche se ormai non dovrei preoccuparmi di annegare, perché... uno stronzo come me l'acqua non la teme.
Le ultime parole di Pio mi tornano in mente. Esco dal bancone e vado a riordinare le mensole giganti, fissate al muro di fronte, dove i clienti consumano seduti agli sgabelli. Sistematicamente, quasi tutti, lasciano tazze e bicchieri a struggersi, fino a che non ho qualche minuto libero per recuperarle. Ivan ormai fa finta di non vederle. È un messaggio subliminale per noi servi: è compito vostro, io vi pago!
In questo momento c'è solo una ragazza che ha ordinato un cappuccino e sta aspettando si scaldi il cornetto che ha ordinato. La fortuna di questo bar sono il caffè e i croissant, come si fregia di chiamarli Ivan, tra i migliori della città. Per il resto è tutto da buttare. Gli incassi, già solo con questi articoli, sono stratosferici, ma l'ingordigia di Ivan non ha fine. Ha la fastidiosa abitudine di raggirare spesso i clienti alcolizzati che già al secondo bicchiere non si rendono conto se stanno bevendo ancora whisky o tè alla pesca. Così rifila loro schifezze da quattro soldi, al prezzo di superalcolici invecchiati quarant'anni!
Quando lavoravo per Ivan da pochi giorni, avevo rischiato un vero e proprio linciaggio perché stavo per gettare nella spazzatura una bottiglia vuota di rum.
“Ma sei scemo? Qui non stiamo mica a Londra...!” l'avevo guardato, senza capire, mentre mi toglieva di mano quella sorta di simulacro “questa qua non sai quanti soldi mi fa guadagnare!” e mi aveva fatto vedere cosa intendesse nel magazzino sul retro “vedi questo rum qui?” e mi aveva indicato una serie di bottiglie tutte uguali, dal colorito incerto. Io avevo annuito “questo costa dieci volte meno di questo che stava nella bottiglia che stavi buttando via” poi, come un chimico che mescola due sostanze, aveva travasato un'intera bottiglia di rum da quattro soldi in quella sacra “se a un cliente, già mezzo ubriaco, gli rifili un bicchiere di questo schifo, non se ne accorge neanche!”
Questa infamia, che Ivan mi aveva elargito come una vera e propria lezione di vita, è una costante. Ed è una cosa che odio quasi quanto lui. Aspetto ancora che qualche cliente il cui cervello funziona ancora, se ne accorga e gli dia una gran bella ripassata.
I miracoli a volte accadono!
Sul mensolone c'è un bicchiere d'acqua, una tazza di caffè e alcune riviste che con cadenza triennale, vengono cambiate. L'unico giornale onnipresente è la Gazzetta dello Sport che grazie al suo colore rosa è la cosa più femminile qui dentro. Le riviste di cultura, che Ivan trovava come inserti e che non si sognava mai di comprare, sono talmente intonse che sembrano fresche di stampa, dopo anni! Nonostante questo, le trovo sempre in disordine e non sopporto che stiano sparse. Così le impilo non meno di tre o quattro volte al giorno, come adesso, ma inavvertitamente urto il bicchiere mezzo vuoto e l'acqua bagna le pagine patinate, rimaste aperte su un articolo.
«Porc...» mi fermo appena in tempo, prima che la signorina al bancone senta e Ivan mi fulmini con gli occhi. Con il canovaccio, che mi sono portato dietro, assorbo il liquido e vengo attratto dal “pezzo bagnato.” Il titolo fa riferimento a un ritrovamento avvenuto nella diga di San Giuliano, qui a Matera, tempo fa, e che solo adesso hanno deciso di salvaguardare. Dal punto di vista paleontologico la scoperta è paragonabile a quella dell'uomo di Neanderthal.
«I resti di una balena preistorica...» leggo a mezzo tono.
Continuo a leggere in fretta e apprendo che sei anni fa, un escursionista per passione, ha rinvenuto un fossile di cetaceo, venuto allo scoperto perché le acque si erano ritirate. La cosa allucinante, e che mi lascia a bocca aperta, è che l'ente preposto alla salvaguardia di quei resti antichissimi, ha lasciato che rimanessero alla mercé di eventuali tombaroli... per sei anni! Senza muovere un dito! E solo quando un giornalista di calibro nazionale ha dato risalto alla scoperta, si sono decisi a recuperarli e a conservarli in casse di legno. Quindi hanno salvato quel che resta del cetaceo per lasciarlo marcire in un deposito! Da Erode a Pilato!
Le parole scorrono veloci sotto miei occhi, sono rapito da quell'articolo. Mi sono completamente isolato dal mondo attorno a me, tanto da non aver udito la voce di Ivan.
«Ooooh... Felice!» la sua voce mi scuote «che ne dici di darmi una mano?»
Mi giro, senza lasciare la rivista, e mi accorgo che ci sono tre clienti che si sono materializzati senza che me ne rendessi conto. Chiudo la rivista e la porto con me, la conservo nel magazzino, vicino le chiavi dell'auto, e torno a lavorare, senza però togliermi dalla testa quello che ho appena scoperto leggendo.
Un fossile di balena...
Nonostante la stanchezza di una giornata di lavoro, è da quasi un'ora che sto muovendomi in rete per capirci qualcosa del ritrovamento incredibile della balena che hanno battezzato Giuliana, come la diga dove è stata ritrovata. Sembra così assurdo non si riesca a capire quale enorme valenza possa avere un simile ritrovamento dal punto di vista scientifico. E questa cosa mi fa incazzare come una bestia!
«Stupidi, incapaci e caproni!»
Mi concentro sul monitor del mio computer, sulle poche notizie che ho trovato. Questa cosa sembra non interessi a nessuno.
Bisogna fare qualcosa... cosa farebbe Pio al mio posto?
Rimango a osservare il soffitto per un tempo lunghissimo. Mi alzo e cammino per casa. Arrivo in soggiorno e torno a fissare il soffitto dal divano. E quando vado in bagno... ho l'illuminazione: i social!
Esco dal bagno ed entro in Facebook.
Cerco di capire qual è la strada migliore per dare visibilità a Giuliana e alla fine decido di creare una pagina a lei dedicata: Io sono Giuliana!
«Sì, ma... ma devo prima creare un account di copertura per me!»
Mi fermo un secondo a riflettere. Non posso e non voglio usare il mio nome.
Metto le mani dietro la nuca e alzo lo sguardo al cielo, quasi alla ricerca di una risposta, chiudo gli occhi. “Chiamatemi Ismaele”...
«Anzi no... Achab!»
Ma certo, Moby Dick!
Mi curvo nuovamente sulla tastiera e in pochi secondi nasce l'account giusto: “Capitano Achab”.
Chi meglio di lui può rappresentare una simile avventura nel mare magnum dell'etere?
Recupero in rete l'immagine di come doveva essere Giuliana e la uso come copertina della pagina. Pubblico il testo che ho scritto e inizio a invitare!
Quando mi lascio andare sullo schienale della sedia, l'orologio segna le sei del mattino. Mi sento a pezzi, ma allo stesso tempo l'adrenalina per quel progetto improvvisato che sento mio, mi fa stare ancora sveglio, ma devo andare a dormire.
Chiudo tutto e vado sotto la doccia. Tolgo dalla pelle il sapore del bar di Ivan, ma il sorriso che ho stampato non viene via. E quando mi metto a letto, dopo aver oscurato completamente la camera da letto, sono sereno.
In poco tempo mi addormento, sfinito.
E passato un mese da quando il Capitano Achab ha creato la pagina di Giuliana ed è esploso un vero e proprio caso su Facebook.
Ventiquattr'ore dopo averla diffusa in rete, le richieste di iscrizione erano tantissime e le avevo approvate tutte. E qualche ora dopo ognuno aveva inizaito a postare la propria opinione sull'argomento. Nei post erano tantissimi i ringraziamenti al Capitano Achab che aveva messo in evidenza una questione così importante per la città, ma soprattutto per la comunità scientifica. Avevo letto ogni post, erano davvero pochi quelli contrari, soprattutto persone che pensavano che al mondo ci fossero problemi più importanti da risolvere, ma era giusto fosse così. Avevo risposto a chi potevo, per quello che sapevo, facendo subito intendere che non ero lo scopritore dei resti del fossile, ma solo una persona qualunque che voleva far capire quanta poca voglia c'era di fare qualcosa di utile.
«Bellissima idea, bravo Capitano!» aveva postato una donna.
«Sapevo di questo cetaceo, ma non pensavo avessero il coraggio di lasciarlo marcire in delle casse di legno» un altro.
«Non ci lamentiamo per quello che non fanno i politici se siamo noi a votarli!» un altro ancora.
«Giuliana deve tornare libera!» aveva “urlato” una ragazza.
Qualcosa avevo evidentemente smosso nelle persone, molti di questi erano spavaldi da tastiera, ma quello che contava era che il passaparola funzionasse. Volevo che la mia indignazione fosse condivisa da più gente possibile.
E sembrava funzionare.
Da quel giorno ho iniziato a guardare Facebook anche dal mio cellulare, non volevo perdermi un solo post!
Ovviamente tra gli iscritti c'erano quelli più attivi e quelli che rompevano. Tra i più presenti c'era un certo Ismaele. Mi aveva incuriosito subito perché, come me, aveva usato come immagine del suo profilo uno dei personaggi principali del romanzo.
“Sarebbe fantastico iscrivere in questa pagina chi ha scoperto il fossile” aveva scritto in un post, un giorno, Ismaele “hai provato a cercarlo in rete, Capitano?”
Gli avevo risposto di no perché non volevo e non potevo obbligare nessuno a iscriversi alla pagina di Giuliana, magari non a tutti i social andavano a genio. E comunque l'intento di quel “luogo” virtuale era di far sapere quello che NON veniva fatto.
I giorni passavano, gli iscritti aumentavano e nonostante il misterioso Ismaele sembrava non aver gradito la mia posizione riguardo l'invito dello scopritore di Giuliana, non si era comportato da hater, per fortuna.
Ad ogni modo tutto questo mi stava facendo bene, nonostante ormai la mia vita si dividesse tra lavoro e casa. La notte mi addormentavo sempre più serenamente e il mio sogno ricorrente non mi tormentava quasi più.
Sarà merito di Giuliana!
Sto cucinando, mentre la TV accesa parla di qualcosa che non ascolto. Sono concentrato nel preparare una nuova ricetta che ho scovato sul web. Sono quasi in dirittura d'arrivo, sto per chiudere gli involtini con striscioline di porro che ho preparato prima, quando un “bip” dal computer mi distoglie dal momento clou. Mi avvicino e vedo che Ismaele mi ha contattato chiedendomi di diventare amici.
«Mah... adesso vuole pure diventare mio amico!» in piedi, davanti al tavolo, rimango a fissare il monitor, indeciso sul da farsi.
Non ho mai amato usare Facebook o i social per fare nuove conoscenze. Per interagire in rete, mi sono sempre limitato a condividere post intelligenti e a commentare quelli interessanti, non di più.
Mi alzo, lascio in stand by la risposta alla richiesta di amicizia e torno alla cucina.
Ismaele sembra uno tosto, anche se in realtà ho più volte pensato che fosse una donna. È uno che non teme il confronto. Non ho idea di quanto conosca la storia di Giuliana, ma cerca di informarsi sempre, prima di pubblicare un post. Da alcune cose che ha scritto, si tratta sicuramente di una persona molto intelligente, ma potrebbe anche essere una falsa impressione.
«Ok» dico a me stesso, guardando i miei cinque involtini pronti sul tagliere, soddisfatto del loro aspetto invitante. Prendo un tegame, lo appoggio sulla fiamma, aggiungo un po' di olio di oliva e uno spicchio d'aglio.
«Un minuto credo possa bastare» dico a me stesso, soddisfatto.
Un secondo “bip” dal PC. Mi avvicino e noto che c'è una seconda richiesta di amicizia. Anche quest'altro utente ha usato come avatar un personaggio del libro di Melville: Tashtego, il guerriero indiano, membro dell'equipaggio. E anche Tashtego ha usato un'immagine disegnata.
«Questi mi stanno prendendo per il culo!» e con un movimento deciso clicco e rifiuto la loro richiesta di amicizia «e ora vediamo.»
Apro la pagina di Giuliana e aspetto che uno dei due scriva qualcosa sul mio rifiuto, se si indignano... li metto fuori. E mentre fisso la pagina l'aglio sfrigola vivace.
«Oh cacchio!» corro verso i fornelli e lo trovo ormai arso «dannazione!» prendo un cucchiaio e lo getto nella spazzatura. Adagio i miei involtini sull'olio bollente e copro nuovamente. Apparecchio la tavola per metà, l'altra è di pertinenza del computer. È una brutta abitudine che ho preso da quando ho aperto la pagina di Giuliana, ma non mi interessa, non c'è più “Pio il grillo parlante” a farmi notare certe cose.
Mentre il profumo della mia nuova ricetta riempie piacevolmente l'aria, metto tutto in tavola. Quando ho finito mi avvicino alla cucina, rimango a guardare il posto che ha sempre occupato il mio giovane vicino di casa. Ormai ho rimesso la sedia lì dove si posizionava con la sua sedia a rotelle. Un po' mi mancano le nostre chiacchierate e il nostro scambio di battute...
“Guarda che non ci sono cuochi bravi in assoluto” mi aveva detto una volta Pio, mentre smanettava al mio portatile per dargli una sistematina, come diceva lui, sapeva che il lavoro al bar non mi era mai piaciuto e che invece cucinare era la mia dimensione ideale “anche i migliori chef sbagliano qualcosa... di tanto in tanto, la tua è solo una normalissima paura iniziale, una volta partito vedrai che cucinerai da dio come fai qui” poi mi aveva guardato “considera che io non sono ancora morto... qualcosa vorrà pur dire!” e gli avevo dato uno scappellotto, mentre ridevamo. Di fatto, nonostante avesse pienamente ragione, io ero ancora a infiacchirmi in quello squallido bar. In più avevo litigato con il mio unico vero amico e con Azzurra, l'unica ragazza che non riesco a togliermi dalla testa.
Pio è messo peggio. Lui non ama la sua intera esistenza, in questo è decisamente più sfortunato di me, nonostante non lo dia mai a vedere. Spesso mi sono fermato a pensare a quante cose io facevo alla sua età, fuori casa tutto il giorno. Passavo ore a giocare a calcio, o davanti a un videogame. E poi c'erano le ragazze! In piena esplosione ormonale ero sempre alla ricerca di una fanciulla, ma già allora si palesava il mio carattere avverso alle relazioni stabili. Non riuscivo a sottostare alle regole non scritte di un rapporto duraturo: vedersi ogni sera, o, in mancanza, consumare un'intera scheda telefonica per dirsi le stesse cose del giorno dopo.
Mentre penso a Pio ed alla sua limitazione di vita, alzo il coperchio della pentola e mi investe il profumo della mia nuova pietanza.
«Sembra buona» e mi accingo a completare il piatto, mettendoci alcuni grani di pepe rosa, prezzemolo e menta, in realtà la ricetta prevede un po' di aneto, ma non sono riuscito a trovarne «che importa... tanto lo mangio io!»
Prendo il piatto e metto gli involtini ben ordinati a cerchio, poi ci verso sopra il brodo di risulta e porto in tavola. Siedo e guardo nuovamente lì dove avrebbe dovuto esserci Pio. Un afflato di solitudine profonda mi assale. In passato ingoiavo questa brutta sensazione assieme al cibo o con del vino corposo e subito mi sentivo meglio.
Oggi non sembra funzionare...
Continuo a mangiare, lasciando che il sapore di quel piatto, un po' ardito nell'abbinamento, dia piacere al mio palato. Con la mano sinistra attivo il monitor e leggo, mi accorgo che si sono rivolti a me.
«Ehi, Capitano Achab, forse è il caso di fare qualcosa di più che scrivere qui su Facebook!» ha scritto Tashtego.
«Si, concordo con il mio compagno di viaggio Tashtego» ha scritto Ismaele «io propongo un flashmob in centro, è un'alternativa al galleggiare in rete senza approdare da nessuna parte e magari smuoviamo qualcosa... ma la mia è solo un'idea...»
Lascio il boccone a mezz'aria e cerco di capire se quei due mi stanno prendendo nuovamente per il culo, con l'idea del flashmob. Rimango a riflettere e aspetto di capire se altri danno seguito alla proposta.
Decido di finire il mio pranzo. Dopo l'ultimo involtino, riempio il bicchiere di vino e inizio a sorseggiare lentamente, con gli occhi fissi sullo schermo.
Le adesioni all'idea del flashmob iniziano a rincorrersi.
«Guarda 'sti stronzi...» mi turba però il pensiero di uscire allo scoperto, il mio intento non è la notorietà, piuttosto il contrario.
Tracanno l'ultimo sorso di vino e leggo i post. Tutti inneggiano a me come il trascinatore dell'iniziativa.
Mi alzo, sparecchio e mentre mi muovo, la mia mente non abbandona il pensiero che, non nascondo, mi da anche alquanto fastidio, forse perché getta dissidio tra i miei due “io”!
Mi avvicino al computer e leggo. Alcuni iscritti hanno spiegato che organizzare un flasmob non è vietato dalla legge, a patto che non ci sia scopo di lucro.
«È sancito nell'art. 17 della nostra Costituzione» ha scritto uno dei tanti «e riconosce a tutti i cittadini il diritto di riunirsi pacificamente e senz'armi» conclude con chiarezza.
E alla fine prendo una decisione.
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