“Un piccolo spiraglio di luce da un angolo rotto”

di
Francesco Sciannarella

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La gente su via Ridola è davvero tanta. Gruppetti di ragazzi tengono in mano un pezzo di cartone, #iosonogiuliana, si legge a chiare lettere. Sento il mio cuore battere in gola, non credevo potessero partecipare cosi tante persone.
In piedi sulle scale della chiesa di Santa Chiara, adiacente al Museo Ridola, osservo dall'alto come avrebbe fatto il capitano Achab, quel mare di gente accorsa al mio richiamo.
“Ok, facciamo un flashmob” avevo scritto alla fine, tenendo la mano sospesa in aria per quasi un minuto, prima di pigiare il tasto. Poi avevo premuto “invio” e tutto era iniziato, ma prima di tutto avevo dettato le regole del gioco.
“Le regole sono queste” avevo proseguito “il preavviso deve essere brevissimo, la sera prima per la mattina successiva, non di più, e tutti i partecipanti devono avere un cartello da appendere al collo con su scritto #iosonogiuliana” ed era esploso un entusiasmo virale e contagioso. Infine era arrivato il post che speravo di non leggere.
“E così finalmente conosceremo Achab!”
E anche davanti a quelle parole avevo indugiato a lungo. Sapevo che la mia risposta non sarebbe piaciuta a molti, ma era una decisione dalla quale non volevo allontanarmi.
“No, non rivelerò la mia identità” avevo scritto, con la convinzione di essere destinatario di commenti negativi o insulti, ma mi ero sbagliato.
Alcuni avevano postato che dovevo metterci la faccia, se davvero avevo coraggio, ma gli avevo risposto che in fondo l'idea era nata non per far conoscere me, ma Giuliana. Inoltre avevo aggiunto che ero solo una persona che vuole condividere con il mondo questa scoperta, non chi sono “quindi sarò semplicemente in mezzo a voi con il mio cartello! E basta!” avevo concluso.
Inaspettatamente avevo avuto un appoggio quasi totale. Dopo quella mia risposta gran parte degli iscritti l'avevano considerata una decisione leale e giusta. Secondo alcuni avrei potuto anche sfruttare la mia notorietà per darmi, ad esempio, alla politica, ma non averlo fatto era per loro sinonimo di onestà.
Guardo l'orologio sul mio cellulare. Mancano cinque minuti alle undici di questa domenica mattina di primavera e all'inizio del mio flashmob, ma anche di Giuliana e di tutta la città.
La telecamera di una TV locale e il direttore di un giornale on line che va per la maggiore, stanno riprendendo e intervistando alcuni ragazzi. Mi sento stranamente bene, anche se una velata sensazione di solitudine mi attraversa. Siedo e rimango a fissare il mio cartello, scritto sul fondo di una scatola di scarpe. Sorrido appena, guardando la mia grafia che non è mai stata granché, ma che questa volta è perfetta. Ci ho messo un bel po' affinché la scritta fosse chiara, pulita. Prima a matita e poi ripassata con un pennarello nero. Ci tenevo fosse bella!
«Sei qui per il flashmob, vero?» la voce di una ragazza mi ridesta dall'assenza momentanea. Mi mette davanti la faccia il microfono e aspetta che risponda.
«Sì... sì... aspetto che arrivi l'orario prestabilito...» le rispondo un po' impacciato, rimettendomi in piedi.
«Quindi anche tu sei iscritto alla pagina di Giuliana?»
«Sì».
«E cosa pensi succederà dopo questo flashmob?»
«Oh... spero... sì... insomma... spero che qualcosa si smuova...»
«Questo misterioso Capitano di vascello che porta il nome dell'Achab che insegue fino alla morte Moby Dick, lo conosci?»
Sorrido, prima di rispondere «No! Sembra non lo conosca nessuno, ma... ha scritto che ci sarebbe stato anche lui, ma senza mostrarsi».
«E cosa pensi di questa sua scelta?»
«Oh.. beh... appunto... è una sua scelta che personalmente rispetto, perché non cerca la notorietà personale e... ehm... sì.. questa cosa è una cosa... bella... positiva!»
«Ok, grazie!»
Poi si gira verso la camera e ai telespettatori comunica che manca davvero poco all'orario concordato.
Guardo in direzione dell'enorme assembramento che si è formato. Tutti hanno al collo il proprio cartello.
Lentamente mi lascio travolgere da quell'onda umana.
«Eh... siamo davvero tanti!» dice una voce accanto a me che mi costringe a girarmi.
È Azzurra.
«Ciao» le dico, con un sorriso sincero e immenso.
«Ciao Felix...» poi fa una cosa che mi lascia di stucco, mette una mano dietro la mia nuca e avvicina il mio orecchio alla sua bocca «o devo chiamarti... Capitano?» sussurra.
Ci ritroviamo uno negli occhi dell'altra, mentre la voce della folla esplode in un coutdown urlato che copre ogni altro rumore attorno.
Ci accodiamo al conteggio anche noi e all'improvviso Azzurra prende la mia mano e la stringe. Ci guardiamo negli occhi.
«… otto, sette, sei, cinque, quattro, tre, due, uno...»
E come se fosse un'unica voce «Giuliana liberaaaaaaaa!»
Anche io e Azzurra, senza sciogliere le nostre mani, gridiamo soddisfatti e io ho la sensazione di aver cambiato pelle e mi sento appagato. Decido che devo trovare il modo di non perdere nuovamente la ragazza che ho accanto.
«Scusami per quella sera al pub» le dico, tutto d'un fiato, dovendo avvicinarmi al suo orecchio per farmi sentire.
«Scuse accettate... ma... solo se tu accetti le mie...» mi parla anche lei all'orecchio e poi torna a fissarmi, scavandomi dentro con i suoi occhi «non avevo il diritto di dirti certe cose... quantomeno non così...» dice ancora, alzando la voce tra le tante.
La bacio. A lungo, con tutta la passione che ho tenuto per me in questi anni, senza mai farne dono a nessuno. Ho come l'impressione che siamo racchiusi in una bolla d'acqua che non mi fa sentire il peso dei nostri corpi, ma soprattutto il peso delle mie paure e dell'arroganza del mio modo di essere. Infine racchiudo il suo volto tra le mie mani.
«Credo di essermi innamorato di te, Azzurra!» lei, piena d'imbarazzo, poggia le sue mani sulle mie e chiude gli occhi, assaporando quel mio modo strano di tenerla per me. Vedo spuntare lacrime silenziose dai suoi occhi. E senza dire nulla gliele porto via con le dita e poi bacio lentamente lì dove erano scese un secondo prima.
«Finalmente hai deciso di uscire allo scoperto...» mi dice, con una voce graffiata dal pianto e dal sorriso «il Felice che avevo di fronte in quel pub era solo una maschera per nascondere al mondo quello che avevo visto... non mi ero sbagliata!»
«A quanto pare avevi visto giusto!» un altro bacio fugace «e Pio dov'è? Vado a casa prenderlo!»
Azzurra sorride e con la testa fa un gesto per indicare qualcosa dietro di me. Mi volto e scorgo Pio che spinge la sua sedia a rotelle. È una cosa bellissima vederlo fuori casa, respirare l'aria oltre quelle mura in cui ha costruito, con le sue mani, una prigione di solitudine e paura.
«Non ci posso credere... sono riuscito a farti uscire!» mi avvicino a lui e con un colpo secco le nostre mani si incrociano e si stringono con forza.
«Certo... Capitano!» e sorridiamo.
E in quel momento capisco tutto.
«U-un momento...» guardo alternativamente Pio e sua sorella «voi due... sì... ma certo che scemo» e mi colpisco la testa con la mano aperta «tu sei Ismaele» e punto il dito su Pio «e tu sei Tashtego!»
«Secondo me l'avevi capito subito» mi dice Azzurra «ma Pio ha avuto l'idea del flashmob anche per fuorviarti perché...»
«… perché non avrei mai pensato che avresti avuto il coraggio di uscire di casa» proseguo, fissando il mio giovane amico che adesso mi appare sotto una luce diversa, più maturo.
«Infatti!»
«E voi come avete fatto a capire che ero io...»
«Ti ho riconosciuto nell'istante in cui ho letto il tuo primo post» confessa Pio «e poi... diciamoci la verità... con il tuo vero nome hai scritto un post in dieci anni... poi all'improvviso mi suggerisci di iscrivermi alla pagina di Giuliana! Pivello!»
E ridono di me, ma ne sono contento.
«Non sono un granché come Capitano del web, vero?»
«Assolutamente no!» interviene Azzurra, accarezzandomi una spalla.
«Ok, pazienza» rispondo, facendo spallucce «però... il risultato è stato grandioso» e indico la gente che affolla ancora lo spazio attorno a noi.
«Assolutamente sì!» mi dice Azzurra.
«Cosa pensate succederà adesso?» chiedo a entrambi.
«Assolutamente niente» sancisce Pio, glaciale «un flashmob non smuoverà la coscienza dei politici, fidati!»
«Credo che mio fratello abbia ragione» dice Azzurra «ma era una cosa che andava resa pubblica, molti non sapevano neanche dell'esistenza di Giuliana!»
«Esatto... e non è cosa da poco, ma la parte più incredibile di questa storia è che l'ha organizzata uno come te!» e Pio ride.
«Cretino!» e rido anch'io «sai Felice questo non è il primo giorno che esco di casa» mi dice Pio, passandosi una mano tra i capelli, a disagio «una settimana fa ho iniziato ad allenarmi con Antonio...»
«Davvero?»
«Sì, davvero» ribadisce il mio amico e la sorella gli accarezza una guancia.
Tutto è andato a posto... o quasi.

Mentre camminavamo per tornare a casa, Azzurra mi aveva confessato di aver seguito il mio consiglio e aver scritto una lettera a sua madre.
“Avevi ragione... è così che la conquistò mio padre” e mi aveva sorriso.
“Ah... bene! La risposta?”
“Oh... è stata quella sperata... ha chiamato lei!” sorride serena “abbiamo pianto tantissimo, dicendoci quello che abbiamo tenuto dentro per tutto questo tempo e il giorno dopo abbiamo pranzato insieme!”
Le avevo dato un bacio, senza dire altro. Ero felicissimo per lei.
Quando arriviamo a casa mia tutto sembra avere un sapore diverso, e un rumore nuovo, la voce di tre persone sedute attorno allo stesso tavolo a parlare di sé e di vite rigenerate.
Allora dissolvo anche l'ultimo mio velo d'inquietudine...
«Era un giorno d'estate, avevo dieci anni» esordisco, guardando i fiori disegnati sulla tovaglia «in quegli anni passavo l'intero periodo a casa di mia nonna, dove ci vivevano anche i miei zii e i miei cugini che amo ancora come fossero fratelli e che, da quel giorno ho rivisto pochissime altre volte» Pio e Azzurra sono concentrati nell'ascolto, lei tocca la mia mano, ha percepito la mia paura scaturita dal racconto inedito «era bellissimo perché trascorrevo tutta la giornata in campagna, aiutavo nei lavori, anche se alle volte mio zio era un po' duro con me, ma con il tempo ho capito... quello che per me era un gioco, per lui era lavoro, sacrificio» sorrido e chiudo la mano di Azzurra nelle mie «al pomeriggio, dopo aver mangiato pane e frittata, ricordo con quanta facilità mio zio riuscisse ad addormentarsi come un sasso, sdraiato sulla terra dura, mentre mia zia e mia nonna sistemavano tutto. E io ero libero di giocare» deglutisco e il cuore inizia ad accelerare «ora... dovete sapere che la casa dove mangiavamo era situata su una collinetta, mentre io scendevo a valle, dove c'era una vecchia casa diroccata e vicino scorreva un torrente» inspiro ed espiro «quella volta, come tante altre, appena ci arrivai, tolsi calze e scarpe e iniziai un gioco che adoravo: tentavo di costruire una strada fatta di sassi per raggiungere l'altra sponda. Non ci ero mai riuscito e quello che c'era dall'altro lato mi aveva sempre affascinato, incuriosito e allo stesso tempo spaventato... ricordo benissimo che quell'acqua, anche in piena estate, era sempre gelida per i miei piedi, ma non ci facevo quasi caso... e indovinate un po'?»
«Quel giorno sei riuscito a guadare il fiume!»
Faccio un cenno di assenso a Pio e vado avanti «e così, come un provetto Tom Sawyer, mi avventurai attraverso la macchia mediterranea dall'altro lato. E il piacere dell'avventura annullava la concezione del tempo trascorso, ma soprattutto mi rese spavaldo e quando...» respiro a fondo, perché il ricordo di quel momento l'ho rivissuto quasi ogni notte «… sì... quando misi il piede sul coperchio di quel pozzo caddi, all'improvviso, come risucchiato da una bocca vorace...» ho un brivido per tutto il corpo e mi fermo.
«Non c'è bisogno che prosegui, Felice, se ti fa star male...» mi conforta Azzurra.
«No, devo farlo... devo raccontarlo...»
«Sono d'accordo» dice Pio, guardando serio sua sorella che siede sul tavolo e mi tiene la mano.
«L'acqua era fredda, più di quella del fiume e in più era viscida e maleodorante... crescendo ho sempre pensato che così forse è il fetore dell'inferno!» nell'aria aleggia tristezza, quasi tangibile, ma procedo «quando risalii a galla, annaspavo, cercavo un appiglio per tenere le testa fuori, ma... più mi dimenavo per aggrapparmi, più sembrava che qualcosa di mostruoso mi tirasse giù... cercavo di urlare, ma l'acqua putrida mi entrava in bocca... gridavo... e andavo giù... e bevevo... Dio mio, la paura mi stava uccidendo prima dell'acqua, ricordo....» mi soffermo sulle unghie delle mani «ricordo... che in poco tempo le dita si riempirono di sangue... quella parete era fatta di cemento ruvido, ma non riuscivo e trovare uno spuntone, qualunque appiglio che mi permettesse di respirare...» mi fermo. Prendo un bicchiere e lo riempio di acqua, esito, poi la bevo a piccoli sorsi, con gli occhi fissi nel vuoto dei ricordi di quel pozzo. Riprendo, ma sento il bisogno di alzarmi e continuare a raccontare muovendomi nella cucina «… e in quel momento di panico assoluto, totale, scorgo un qualcosa che sembra essere un attacco solido, ma per arrivarci ho bisogno di pochi centimetri che non riesco a trovare, perché l'acqua mi tira giù. E poi una specie di miracolo, il mio piede trova un appiglio, forse... sì... forse era uno spuntone dei blocchi di cemento... non l'ho mai saputo... e il mio alluce mi da la possibilità di spingermi fino a quel sostegno salvifico e mi ci afferro, come un naufrago alla scialuppa di salvataggio» respiro un po' e deglutisco «ricordo che... mi tenevo aggrappato a quell'unico pezzo di ferro arrugginito. Rifiatai e ripresi a urlare con tutta la forza che avevo, ma... sapete che a volte la sfortuna si mette d'impegno e... guardando verso l'alto mi resi conto che... il coperchio del pozzo non si era sfondato, lasciandomi cadere, ma si era solo aperto e poi quasi completamente richiuso, lasciando un piccolo spiraglio di luce da un angolo rotto» guardo Pio e Azzurra, pendono dalle mie labbra «e urlo... e urlo, fino a non avere più voce, ma nessuno sembrava essersi accorto della mia assenza e...» chiudo gli occhi per la paura «quando il sole calò e le tenebre avvolsero tutto... le mie paure più profonde di bambino si materializzarono sotto i miei piedi... e presi a piangere...» Azzurra si alza e mi abbraccia, gentilmente la allontano da me, devo arrivare alla fine «non avete idea di quali forme possano assumere gli incubi di un bambino di dieci anni quando sei in un pozzo, solo, senza saper nuotare, senza che nessuno ti senta... ricordo di aver avuto come la sensazione di aver visto... sì... quella che sembrava essere una pinna sotto di me che mi toccava i piedi... vi giuro che i miei occhi l'hanno vista quella pinna caudale... e quel giorno, quel dannatissimo giorno, ho pensato che fosse un mostro che voleva tirarmi giù negli abissi più profondi...»
Pio mi studia con gli occhi.
«Un incubo!»
«E chi ti ha salvato?» mi chiede Azzurra.
«Mio zio... quando sentii la sua voce piansi di felicità, ma ero stremato e infreddolito... credo che altri cinque minuti e sarei morto... lui si calò nel pozzo, con l'aiuto di un pastore che li aveva aiutati nella ricerca e mi portò in salvo...»
«E perché ci misero tanto a trovarti?» Azzurra mi domanda con occhi lucidi.
«Le scarpe» dice Pio, avendo intuito «le tue scarpe erano dall'altro lato del fiume e hanno pensato che l'acqua ti avesse portato via, giusto?»
«Giusto... i miei zii e il pastore seguirono il fiume, in entrambe le direzioni, senza trovare traccia del mio corpo...»
«E come riuscirono a capire che avevi attraversato?» mi chiede Pio.
«Mia nonna... notò le pietre allineate che avevo usato per attraversare e ricordò di quel mio gioco... e così...»
«Che storia incredibile!»
La mano di Azzurra mi accarezza, facendomi sentire bene come quando, tra le braccia robuste di zio Franco, tornai vivo e mi avvolse in una coperta. Poi mi portarono a casa. Quel tepore e il movimento ipnotico del trattore, che ci riportava in paese, mi cullò come una madre premurosa. E quando la febbre si placò e mi risvegliai nel letto di casa di mia nonna, riempito di foglie di granturco scricchiolanti a ogni movimento, trovai gli occhi di mia madre pieni di lacrime. Il giorno dopo tornai a casa e mia madre non ha mai più parlato con suo fratello, ritenendolo responsabile dell'accaduto e io non sono più andato in campagna dei miei zii.
«Dopo l'incidente ebbi febbre altissima per tre giorni, un sonno inquieto e incubi assurdi!»
«Il tuo sogno ricorrente...» ribatte Pio.
«Esatto, anche se... da quando ho iniziato l'avventura con Giuliana... è quasi del tutto scomparso...»
Azzurra è visibilmente felice di queste mie parole e io con lei.
Dovevo raccontare, alle mie due persone più care, l'incidente del pozzo, anche solo per esorcizzarlo. Ora mi sento privo di gran parte di quel peso che mi porto dietro da anni.
E va bene così. Non so dove andremo a finire noi tre, ma sono sicuro di una cosa, nessuno si guarderà indietro con nostalgia.
E con il sottofondo delle nostre risate, per un attimo penso a Giuliana, ancora chiusa nel buio della sua prigione, nell'attesa che una nuova vita inizi anche per lei. Spero accada prima possibile... il Capitano Achab questa volta l'ha l'inseguita per salvarla la sua balena.

(N.d.A.) “In questi giorni, alla fine di questo assurdo 2020, Giuliana è ancora rinchiusa nelle casse di legno dove è prigioniera ormai da anni! Sembra che nessuno voglia interessarsi a lei. Spero che un giorno, un vero capitano Achab provi, questa volta, a salvarla dal mare infimo della dabbenaggine umana”.

* trimone: agg. m.s. nel linguaggio gergale adolescenziale di alcune zone del Meridione d'Italia, significa persona imbranata, di poco conto, insignificante. SIN. pippa, sega, mezza sega.